ME SO’ LANCIATA.
O meglio, ho lanciato.
L’ago.
Proprio lì, dove generalmente non batte il sole.
Ma dove ora batte una cifra il nervo sciatico.
Dentro il mio cervello mi sono ripetuta venti volte la sequenza delle cose da fare.
La fronte imperlata di sudore, ho visto avvicinarsi il momento.
Ho caricato la siringa. Allontanato la mano.
Ho mirato con attenzione.
Velocemente la pelle di Homo si è avvicinata come in uno zoom al microscopio.
Più vicina.
Più vicina.
ZAC.
Fatta.
Per poco non sono svenuta.
Fortunatamente ciò che mi ha impedito di apparecchiarmi ai piedi del letto è stata la voce del mio medico curante al quale avevo chiesto il giorno prima:
“Scusa ma alla peggio, cioè se sbaglio, che succede?”.
Già immaginavo un’emorragia, un’embolo, un disastro insomma.
Mi vedevo vedova inconsolabile vestita di nero con impermeabilino lucido anni settanta e scarpe scamosciate nere con zeppa.
(E che cazzo! Quando una cià classe, cià classe sempre no?!)
Il dottore mi ha guardato e placido mi ha risposto:
.
“E che je succede? Je viene er bozzo!”.
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