
Chi non avesse seguito le nostre peripezie estive, può andare qui , qui e qui.
Gli altri, quelli che le conoscono perchè le hanno già lette su questo blog, li compatisco perchè non avevano nulla di meglio da fare.
Comunque.
Homo, finalmente di nuovo bipede, dopo essere rimasto spalmato a pelle d'orso sul letto per settimane causa ernia del disco, prende appuntamento con l'ortopedico Ciccio.
Ciccio è amico di un nostro amico medico, che pare abbia dato a Homo il segnuente parere professionale:
"Vai da Ciccio chette rimette a posto lui".
E quindi noi, seguendo pedissequamente la preziosa prescrizione medica, si prende l'iniziativa e si va da Ciccio l'ortopedico, in un sereno pomeriggio di fine estate che, a dirla tutta, non promette nulla di buono.
L'appuntamento è particolarmente atteso in quanto ci dirà tutta la verità sulla condizione della schiena malandata di Homo che da ben sette anni non veniva sottoposta a risonanza magnetica.
Dopo un'attesa di più di un mese, finalmente abbiamo la lastra e possiamo ambire all'agognato responso.
Nell'aria c'è tensione.
Fatto sta che prima dell'appuntamento Homo, che mi chiede di accompagnarlo poichè ha ancora alcune difficoltà a guidare (meglio spiegabili come: tesoro mi accompagni che non ho punto voglia di recarmi da Ciccio l'ortopedico da solo), deve fare una piccola commissione: consegnare il computer al centro assistenza per farlo riparare.
Benissimo.
Ci prepariamo.
Ovviamente siamo in ritardo sulla tabella di marcia, avendo due destinazioni che si trovano agli antipodi di Roma.
"Sei pronto? Andiamo?"
"Si. Ok".
"Hai preso tutto?"
"Si. Dai che è tardi", mi fa lui.
Di corsa saliamo in macchina e ci lanciamo nel traffico.
Arriviamo trafelati al negozio.
Consegnamo il computer.
Risaliamo in macchina.
Torniamo praticamente sotto casa e ci dirigiamo in direzione opposta, verso il miraggio: lo studio di Ciccio.
Superata da 5 minuti la nostra magione, io paranoica chiedo a Homo.
"Dove hai messo la risonanza?" (traduzione: cara la mia dolce metà, ti prego di fornirmi prova di aver recato teco il prezioso documento, unica fonte della nostra futura felicità o infelicità).
Lui si gira verso di me.
E' stranamente pallido.
Io capisco.
"Ah! L'ho dimenticata!", risponde millantando naturalezza.
Secondo di silenzio.
Siamo in ritardo.
"Vabè", abbozzo un sorrisetto.
"Siamo a cinque minuti da casa. Torno al volo indietro. Tu sali e la prendi. Andare senza è perfettametne inutile" (traduzione: tesoro, quanto sei rincoglionito da uno a dieci? Rispondo io: dieci).
Faccio un'inversione a U che manco Ayrton Senna ha mai vantato;
sgommo;
lancio l'auto sparata sul Lungotevere.
Arrivo sotto casa e lo faccio scendere.
Dopo poco torna affannato con il trofeo in mano.
Bene.
Ripartiamo.
Manco passano due minuti che un dubbio mi assale.
"I soldi per pagare il dottore ce li hai?"
Di nuovo silenzio.
"..."
"Ah! No.
Li ho dimenticati".
Fumo nero comincia a uscire dalle mie orecchie.
"Scusa. E come pensavi di pagarlo Ciccio l'ortopedico?" (traduzione: cialtrone di un marito che mi sono sposata, come avevi in mente di ricompensare lo stimato professionista, in natura?!).
"Beh! Non ci avevo pensato. Vabè fermiamoci al Bancomat".
Proseguiamo.
Lungo la strada, scannerizziamo ogni singolo palazzo nella speranza di trovare un bancomat funzionante.
Dopo dieci tentativi rimbalzati dal simpatico messaggino "prelievo non disponibile", lo troviamo.
Ritiriamo i soldi e ripartiamo.
Arriviamo nella via di Ciccio l'ortopedico con venti minuti di ritardo.
Per un dono del dio Anubi materializzatosi sull'asfalto, trovo parcheggio.
"A quale numero civico si trova?", chiedo guardandomi intorno.
"23", risponde lui pronto.
Al 23 c'è un negozio di biancheria intima.
Tuttapposto.
Ora, o Ciccio l'ortopedico, considerata la crisi, ha deciso di vendere mutande di pizzo, oppure Homo ha scritto male l'indirizzo.
Ovviamente è la seconda.
"Beh! Ora lo chiamo e chiedo di nuovo il civico. Prestami veloce il tuo cellulare che il mio si sta scaricando e non ho il numero trascritto da nessun'altra parte", fa lui.
"@!+...@!?**@"
Mi sa che invece di un fotografo, era meglio che sposavo un avvocato.